A Piavon rimane uno degli ultimi casoni del territorio e forse del Veneto.
Il cason nel '900, era di proprietà del barone Rechsteiner, console di Germania a Venezia. Nel 1980 fu donato al comune di Oderzo, dichiarato monumento nazionale, sotto la protezione del Ministero dei Beni Ambientali, come tutti i casoni esistenti. Dal comune di Oderzo è stato quindi restaurato, e il tetto è stato rifatto dai "casonieri" di Caorle. Il superstite cason rimane a testimonianza di quale fosse, nei secoli scorsi, l'abitazione più comune. I catastici parrocchiali, sui quali sono disegnate tutte le proprietà della chiesa e della Luminaria nei secoli 16° e 17°, riportano il numero e la tipologia di queste abitazioni. DidascaliaDidascaliaNel catastico del 1588 detto "vecchio" disegnato da messer Bettodel, sono disegnati nove casoni. Nel catastico Cortelotto del 1608, indicato col nome del suo autore "Costantin Cortelotto, pertegador et disegnator publico di Oderzo", come si presenta lo stesso Costantino, i casoni appartenenti alla Luminaria di Piavon, sono 11; mentre il Catastico che risale al 1778 disegna, in modo molto artistico, ancora 9 casoni. Ecco com'era una di queste abitazioni nella seconda metà del 1700: è descritta con le pareti di mattoni crudi e con il tetto che, alle volte è detto "di paglia" e altre volte "decanne" . " In Valentigo di Piavon. Un pezzo di terra con sopra una casa da muro. Coperta di paglia, conforno , e pozzo in loco detto La Larga, tenuto in affitto da Antonio Pagotto. Confina a Levante Nobb. S.S fratelli Tomitan, e parte Nob. Ho. Bragadin, a mezzodì eredi Domenico Boranga, a sera Nob. Sign. Fedrizzi, e parte consorti Seraffini da Ronche, et alli monti Nobb.S.S. Fratelli Tomitan". Duecento anni prima, nella seconda metà del 1500, le case non erano neppure "da muro", ma di legno coperte di paglia. Ecco come sono descritte:" Uno corrivo con case de legname coverte de paia in regula Valentigo, in loco detto Pra de volpe dove abita dona Orsola del Menego Zuzn muner e Guantiza ". Solo due sono le case "coverte de coppi", oltre alla casa del parroco. Queste case, sono così descritte: " Uno cortivo co case de muro coverte de coppi, teza de muro couerta de paia e mioramenti de m. (messer) Bemardin Tumitan". Gli abitanti dei casoni erano agricoltori e allevatori. Quale fosse la produzione agricola dei piccoli appezzamenti di terreno che circondavano i casoni, quasi tutti piantati a "vidiga", lo si comprende dai prodotti pretesi dai proprietari del terreno per il pagamento delle decime e degli affitti. L'allevamento delle pecore costituiva una buona fonte di sussistenza: agnelli, lana e formaggio pecorino servivano per pagare le decime. Non era facile conciliare l'attività dell'agricoltore e del pastore, le due attività dell'agricoltura e della pastorizia, convivevano perché regolate al minimo dettaglio. Le pecore potevano pascolar durante i mesi invernali nelle pezze di terreno tenute a "prà", il loro numero era definito con esattezza; non era consentito far pascolare le capre, perché le capre divorano anche i germogli e danneggiano le coltivazioni. Nei tre secoli successivi, le condizioni di vita delle persone che abitavano nei casoni, non mutarono di molto, fino al '900, anche se cambiarono i padroni. La gente continuò a lavorare la terra, ad allevare polli e capponi, e a sorvegliare le pecore al pascolo. Si continuò, dunque, a vivere nei casoni fino al 1900, quando essi furono gradualmente distrutti o radicalmente ristrutturati. Negli anni dell'epopea fascista furono considerati vere e proprie vergogne testimoni di una vita di stenti e di miseria da eliminare anche nella memoria. Per comprendere quale potesse essere il tenore di vita che si svolgeva all'interno di quelle quattro, letteralmente mura del cason, ecco quanto scrisse l'ingegner Ferdinando Zangiacomi, il30 maggio 1865, quando eseguì un sopralluogo sui beni appartenenti al Beneficio Parrocchiale di S. Benedetto di Piavon, per stilare una relazione sullo stato di conservazione dei beni della chiesa. Casolare al mappale 198 al civico n. 175 di Piavon. Le condizioni generali di questo casolare sono deficienti, è costruito parte in cotto parte in crudo, coperto a Zeppa (paglia). I serramenti sono molto in degrado e le recenti riparazioni eseguite non sono tali da aver cambiata l'essenza del fabbricato , il qual, del resto, pel genere stesso della sua costituzione non si può quasi dire atto ad essere posto in buone condizioni statiche ed igieniche". Nel 1908, i casolari di proprietà della prebenda parrocchiale sono tre e corrispondono ai numeri civici 18, 175 e 21. Il casolare n.18 è in buono stato di conservazione ed è stato fatto oggetto di notevoli migliorie; invece i " due casolari ali civici n. 175 e 21, per quanto abbiano subìto qualche miglioria, non si possono dire, per i guasti provenienti da vetustà, in buono stato, e necessitano di quelle riparazioni che varranno a mitigare l'impronta fatta dal tempo alle loro deficienti strutture" . Queste deduzioni furono scritte nel 1908 dall'ingegnere civile Antonio Sordoni, su incarico ricevuto dal sub economo dei Benefici Vacanti di Oderzo, don Donato Giacomini. Sempre attingendo ai documenti dell'archivio, possiamo sapere che nel 1926 la Prebenda parrocchiale era ancora proprietaria di alcuni casoni sparsi nel territorio di Piavon, che amministrativamente era ancora Comune nel Distretto di Oderzo. Vediamo come descrive queste abitazioni l'ingegner Raffaello Bettazzi di Treviso, incaricato di "......effettuare una perizia di stima di immobili a scopo di permuta fra la Prebenda parrocchiale di Piavon e la ditta Moro Angelo fu Gaspare. "In comune di Piavon, un appezzamento costituito da un fabbricato rurale denominato "al Cason" tenuto in affitto dal colono Tondato Vittorio, vi si accede per la stradella sul confine a ponente della strada Comunale maggiore. Il fabbricato è un cosiddetto casone di m.14 per 5,50, costituito da un piano terreno con muri di mattoni crudi, comprendente la cucina, due camere e stalla; sopra con pareti di tavole, stanno granaio efienil e molto bassi, coperti col tetto di paglia. I pavimenti del piano terreno sono di terra battuta, i serramenti comunissimi sono in notevole degrado. La cubatura del fabbricato, al piano di gronda, è di mc.346. Nel cortile davanti al fabbricato sorgono tre piante da frutta" . Quanto valeva allora, tanto per farci un'idea, il pezzo di terra con questo cason compreso? "Tenuto conto di ogni cosa - è sempre l'ingegner Bettazzi che scrive - si valuta il terreno in ragione di lire 17.200 l'ettaro, e per ettari 0.79.44, lire 13.663.68. Ivi compreso anche il fabbricato, che per le sue caratteristiche di costruzione ed il suo stato, non si ritiene valutabile a parte". La medesima relazione ci racconta di un altro casone, distrutto durante la guerra mondiale del '15 - '18, situato in un appezzamento di terreno che "....confina a levante con la strada comunale di Busco, a mezzogiorno con la strada vicinale delle Calate, a ponente con Rechsteiner sorelle e a notte con Caberloto Angelo, esisteva prima della recente guerra un piccolo casone di mattoni crudi, coperto di paglia che fu totalmente distrutto dalla •guerra e che oggi è sostituito da una baracca di legno, di proprietà comunale". "Il casolare distinto all'anagrafico n.178 è costituito nel piano terreno di tre camere, una cucina, un tezzone ed una stalla della lunghezza complessiva di metri 25.12, larghezza metri 4.70. Il piano superiore è formato da solaio e fienile fra il soffitto ed il coperto. Il casolare è di muro coperto a paglia, tutto vecchio con bisogno di ristauro. Attualmente è abitato da Caberlotto Antonio ". Conoscere quali furono le coltivazioni agricole di inizio secolo apre una finestra su un modo rurale, non antichissimo, ma ormai definitivamente cancellato. Il terreno tenuto in affitto dal colono Tondato Vittorio, era: "....aratorio con liste erbose all'ingiro. Argilloso, sabbioso soffice, ben concimato e quindi di buona fertilità. Ci sono verso ponente due piccoli orti, è attraversato nella parte occidentale da 4 filari di viti con andamento da notte a giorno, e da altro filare parallelo di barbatelle; nella parte orientale da altri due filari le viti sono di qualità varia. Il mappale n. 199 è posto a vigneto con sette filari di giovani viti riessling. Le piantagioni di gelsi a sostegno dei filari sono largamente incomplete; le viti sono piuttosto malate ed in parte si possono considerare improduttive. Sul margine dei fossi di confine esistono ceppaie di salici e robinie, oltre a qualche robinia di alto fusto e qualche platano; lungo la strada siepe di sanguinella, oppio, robinia, con gelsi annosi a pieno frutto in buono stato". Questa era la nostra campagna, ancora orlata dai magnifici "siesoni" . Bisogna avere qualche decennio sulle spalle per ricordare quel mondo perduto. Nessun rimpianto. La vita dei coloni dei casoni era tanto misera che rimpiangere il verde scomparso, sarebbe solo retorica nostalgia; un lusso che si permette chi non ha mai conosciuto pellagra, pidocchi, "buanze" e non ha mai visto quanto fosse ampia la distesa di piccole tombe di bambini, nel cimitero, nel settore che si chiamava "il campo degli angioletti".