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Al numero 62 di via Ronche
di Piavon abita la signora Maria Storto, classe 1909, che visse a
lungo in un casone simile a quello di via Frassenè. I suoi sono
ricordi frammentari e incompleti, ma ricchi di significato, della
semplicità e della dignità degli abitanti dei casoni. Hanno
posseduto alcuni “campi” di terra e, come tutti, hanno
allevato nei tempi passati il baco da seta. Una vita piena di
sacrifici e di stenti, un continuo “strussiàr“.
Il suo casone aveva circa 400 anni ed era composto da una cucina,
una camera, un portichetto e una piccola stalla occupata da una
vacca e da un’asinella. L’interno del casòn dei Puri era tutto nero
come erano allora le vesti delle donne; due stanze in tutto piccole
e molto basse. La vita quotidiana era
scandita da una serie di preoccupazioni: per esempio quella di
collocare all’occorrenza dei vasetti qua e là in cucina per
raccogliere l’acqua piovana che entrava quando il tetto non riusciva
più a farla scorrere via; porre dei sostegni sul pavimento di terra
battuta per livellare il tavolo da cucina per non far fuoriuscire
dal piatto la minestra; appendere il secchio ad uno
dei tanti chiodi
delle travi di sostegno del soffitto ad altezza d’uomo per
dissetarsi; preoccuparsi che lo “scirocco”, formato da
piccoli grumi del fumo condensato sul soffitto, non cadesse sui
capelli rendendoli sporchi ed appiccicosi.
All’esterno,
poi, bisognava lavarsi il viso per mezzo dell’acqua contenuta in un
secchio di rame appeso alla pergola dell’uva fragola. L’acqua veniva
prelevata ogni giorno da un pozzo nelle vicinanze, anch’esso
scomparso, dove anche altri abitanti di casoni e baracche si
approvvigionavano.
Sul focolare, el larin, c’era il porta pentole, el cavedon,
al quale era attaccato il paiolo, caliera, per la polenta. Il materasso, el pajòn, era un grande
sacco riempito della paglia, ‘a paja. L’alimentazione era a
base di polenta, anche abbrustolita, fagioli, salame e soppressa. Il piatto forte era la minestra,‘a menèstra, fatta di
pasta o di riso con cipolla, patate, fagioli e prezzemolo. “...avere la minestra
in pentola sembrava di essere ricchi...". La domenica era festeggiata con la carne: pollastro
o anitra. La carne era un vero mito: “… che vi sia ciascun
lo dice, cosa sia nessun lo sa!” Durante l’anno in occasione di
alcune feste, principalmente quella del patrono, c’erano alcuni
giochi come l’albero della cuccagna, ‘a cucàgna, la corsa con
i sacchi, ‘a corsa int’i sachi, e il tiro alla fune, el
tiràr ‘a corda. |
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